La libertà di non studiare

studenti-esamiLa “massa” non è soltanto una parola da utilizzare in modo poco concreto, e al più generico, in discussioni politiche. La massa ha una sua consistenza reale, è un organismo complesso che occupa la realtà e la abita, modificandola, e di cui la realtà dovrebbe occuparsi in maniera meno astratta.

Inutile girarci attorno, per una grossa fetta di ragazzi la scuola non fa parte della vita; è un disturbo, un obbligo fastidioso imposto da terzi che sottrae tempo utile all’ipertrofia comunicativa da cui gli adolescenti sono affetti: dire troppo e di continuo a chiunque pur di non dire niente a nessuno. Il disinteresse e lo svilimento dell’importanza dell’istruzione induce il ragazzo a non provare alcuna vergogna per voti insufficienti e possibilità di essere rimandato (rimandare è infatti divenuto sinonimo di recuperare, e quindi non c’è alcun problema, perché loro sanno benissimo che nessuno dei docenti andrà mai fino in fondo, tranne in casi sfacciatamente irrecuperabili). Sono tutti meravigliosamente a loro agio nell’ignorare totalmente la presenza ingombrante dell’istruzione: trascorrono le proprie ore in una serena inadempienza della quale si beano, non provando alcun tipo di imbarazzo verso i propri vuoti culturali e non pensando ad una valida, possibile alternativa allo studio. È inutile che lo Stato si sforzi di pensare a riforme straordinarie, mal celando il proprio intento demolitivo nei confronti della scuola pubblica, già largamente auto-demolitasi con l’assoldamento di personale docente non di rado ben poco competente e mal selezionato in virtù delle proprie conoscenze effettive e delle capacità di gestione dell’organismo classe. Inutile pensare a rivoluzioni e rovesciamenti rocamboleschi dei metodi di insegnamento: il problema è, semplicemente, che la maggior parte dei nostri giovani non ha voglia di studiare. Tentare di farglielo piacere risulta patetico: la scuola non può essere divertente, e per quanto ci si sforzi di rendere ciò che si insegna divertente, o quantomeno stimolante, interessante, per quanto si possano far intervenire in classe artisti del circo o premi Nobel viventi e non, si arriva sempre a quel punto in cui poi l’alunno deve pur restituire qualcosa all’insegnante, deve pur essere sottoposto a un suo giudizio, per dimostrare di aver appreso. Questo crea un disagio notevole negli studenti, che non possono assolutamente perdere parte del loro tempo a fare una cosa che non gli va assolutamente di fare. La loro è una vita piena di impegni, tutti avulsi dal contesto scolastico: hanno tutto, e non sentendo il bisogno di una solida formazione culturale, non credono essa sia meritevole delle loro attenzioni e dei loro pensieri. La scuola è fatta per chi non ha nulla e pensa che con l’istruzione possa migliorare se stesso e le proprie condizioni di vita: pensiamo alla voglia di conoscenze che hanno i Paesi in via di sviluppo, desiderosi di costruire scuole, convinti che imparare serva.

A questo quadro desolante si aggiunge una notevole dose di ipocrisia sociale da parte delle famiglie che, pur rendendosi conto dell’assenza di interesse che lo studente medio ha nei confronti dell’istituzione scolastica, e pur notando i pessimi risultati del proprio figlio, insiste nel mandarlo al liceo, e poi all’università, perché lo status di studente è necessario, non per quello che in termini di conoscenza e formazione potrebbe dare, quanto per ciò che in termini superficiali ed esteriori rappresenterebbe, e non pensa affatto di avviarlo verso un mestiere, sottraendolo all’inutilità della scuola, o di indirizzarlo verso un istituto di formazione superiore più aderente alle sue inclinazioni. Tale atteggiamento non fa che generare ulteriore frustrazione nei ragazzi, e rende le cose ancora più ingestibili. Poiché i giovani dicono che la scuola fa schifo, ma nello stesso tempo continuano a frequentarla, però non studiando, quindi venendo meno anche al senso del dovere che non ha motivo di esistere nella nostra società edonistica. Però – e qui sta la contraddizione più stridente – quelle stesse famiglie avallano poi la scelta del figlio di non studiare, minimizzando i suoi mediocri risultati, ritenendo alla fin fine che lo studio sia diventato davvero inutile, barboso, obsoleto: una cosa da stupidi, in effetti, poiché non ha una pratica utilità in questo universo tutto utilitaristico. E allora perché poi forzano i propri figli a studiare, provando orrore e terrore se questi si mostrano insofferenti e magari desiderano lavorare?

Sembra quasi che il lavoro manuale, tecnico, pratico, sia diventato una cosa degradante, da scarto. Invece non siete obbligati, ragazzi. Nessuno è obbligato a studiare (fuori della scuola dell’obbligo). Non è giusto tutti debbano per forza studiare, vincolati da una società cieca ed omologatrice che impone all’immaginario di un genitore l’idea che il solo lavoro degno di rispetto sociale sia quello che fornisce prestigio e denaro e passi attraverso l’esperienza liceale e universitaria. Questa è un’ aberrazione del pensiero foriera di infelicità e fallimenti. Sarebbe invece di gran lunga preferibile che, con un atto di coraggio, i giovani riuscissero a guardarsi dentro, rinnegando i luoghi comuni, e decidendo liberamente se vogliono davvero studiare determinate materie o se preferiscono lavorare il prima possibile: sarebbe bellissimo se avessero la capacità di dirlo a gran voce senza sentire su di sé le pressioni dell’opinione comune, di ciò che l’idea dominante e ibrida impone senza una logica, dei sogni infranti delle famiglie in cerca di affermazione sociale attraverso i propri figli. C’è a chi piace studiare e a chi no. Facciamocene una ragione. E, nel tentativo doveroso di far capire ai giovani quanto e perché lo studio è importante, diciamogli anche che non è obbligatorio, oltre un certo minimo indispensabile, né imposto da nessuno, e che sono tutti liberi di poter fare qualunque mestiere, senza per questo essere denigrati o giudicati dei mediocri. Soltanto nell’affermazione di una ferma e consapevole volontà di scelta, in questo tempo di estreme contraddizioni, il ragazzo potrà trovare se stesso e la propria meta, vivendo di conseguenza più in armonia col mondo circostante e con i doveri, anche scolastici, che esso inevitabilmente ci propone a fasi alterne lungo il corso della nostra esistenza.

 

“E’ giunto il momento, piuttosto, di dire ai giovani che il loro modo di acconciarsi è orribile, perché servile e volgare. Anzi, è giunto il momento che essi stessi se ne accorgano, e si liberino di questa loro ansia colpevole di attenersi all’ordine degradante dell’orda.”
(P.P. Pasolini – Scritti corsari)

 

Eleonora Rimolo

 

Fonte: Paola Mastrocola- Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare

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Eleonora Rimolo

Sono nata a Salerno il 18/12/1991 e vivo a Nocera Inferiore. Sono Laureata in Lettere Classiche, iscritta alla Magistrale in Filologia Moderna. Ho pubblicato il romanzo "Amare le parole" (Lite Editions, 2013) e la silloge poetica "Dell’assenza e della presenza" (Matisklo 2013).

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