Di politica “da stadio”, di periferie sfruttate e di nuove opportunità

Non è più possibile, non è più credibile, continuare ad aspettare che il tempo passi.

Dall’inizio della crisi economica ad oggi il restringimento delle prospettive è stato una costante, la qualità della vita complessiva di tutta la popolazione è calata, nel sud Italia questo si è tradotto in degrado.
Parlando di Somma Vesuviana, poi, lo specchio del Paese e del sud si completa, poiché la crisi ha coinciso con un imbarbarimento della classe dirigente ( laddove altrove vi é stato un rigetto, basti pensare a Casal di principe, Bagheria etc… ). Spesso il clientelismo più sfacciato é stato il protagonista incontrastato di scelte elettorali e i cittadini sempre più esasperati hanno finito per accettare, se non addirittura preferire, il ricatto ai grandi impegni e al vacuo, complicato e a volte intraducibile, linguaggio dei progressisti. La competizione politica é scaduta, nei termini e nei valori in campo, al punto di essere vissuta da molti giovani che vi si sono affacciati come quella calcistica. Linguaggi e logiche da tifoseria hanno invaso il dibattito, la destra vincente é come la Juventus del campionato italiano: contestabilissima, per carità, ma vincente. Il ruolo di chi si é posto come alternativa di sinistra o trasversale, confuso con quello di una provinciale del calcio italiano, è quello di un condannato alla sconfitta. Come si esce da questo degrado?
La risposta é complessa. In politica non dovrebbero vigere le regole del calcio, chi fattura di più non dovrebbe essere condannato a vincere, e chi non ha mai governato in un contesto che negli ultimi anni ha toccato il fondo per capacità di gestire il territorio, non é un perdente. E’ una strada non provata ma non è così percepita. Da cosa ripartire allora?
Dalla realtà. Bisogna superare questo linguaggio e per farlo però bisogna recuperare e far recuperare valore alla partecipazione politica, bisogna alzare l’asticella delle esigenze, mostrare una via d’uscita al degrado, moltiplicare l’adesione ad idee concrete di sviluppo e farle proprie, bisogna far fare rete tra le realtà esistenti ma allo stesso modo bisogna alimentare la nascita di realtà, di gruppi di uomini e donne che con i fatti mostrino che si può chiedere di più alla politica. Anche quella di un paese-città come il nostro.
Bisogna fare barricata e proposta con chi soffre, chi studia e non ha strumenti, chi lavora e non ha reddito, chi non lavora e si é arreso alla ferocia della crisi. Bisogna con coraggio essere in quelle periferie che non hanno uno spazio né un luogo comune. Perché la politica le vuole così, mammelle da mungere sotto elezioni e nulla più.
Le possibilità ci sono, si può fare, ma il lavoro è tanto e l’appello è rivolto agli uomini e alle donne di buona volontà, giovani e meno giovani. Ci vuole un’alternativa inferocita che abbia fretta ed energia, gambe e fiato. Che senta di avere poche alternative all’impegno.
Ogni casa, negozio, marciapiede é un luogo sociale, uno spazio vitale da riconquistare. Ogni attività sportiva, ogni evento culturale, ogni occasione d’incontro, ogni opportunità costruita con agricoltori insoddisfatti, giovani disoccupati e cittadini esasperati é un mattone fondamentale per la costruzione di una valida alternativa.
I cittadini sono stanchi e non stupidi e per non cedere alla clientela non chiedono interminabili discorsi e citazioni dotte. Ci chiedono le mani sporche e il lavoro sulle cose concrete. I cittadini vogliono la certezza, la tranquillità di un’idea concreta che produca risultati tangibili e reali per rinunciare alle abitudini.
Tocca a noi e a tutti quelli che credono che si possa lavorare in questa direzione. Ricostruire un circuito sociale e mostrare che la politica é più di un certificato ottenuto saltando la fila o di una banconota di 50 Euro per una spesa o del peggio che ancora si racconta dell’ultima competizione ma, per convincere la gente di questo, bisogna fare molto ma molto di più: ascoltare, costruire e realizzare fuori dal circuito urbano del centro, in quelle zone dove oramai nella migliore delle ipotesi è passato il linguaggio del “tanto le comunali sono una cosa a parte”.
Bisogna crederci ma non basta, bisogna essere un martello continuo nelle mani della cittadinanza. Solo così si può sperare di invertire la rotta. 

Andrea Morisco

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Andrea Morisco

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2 risposte

  1. Giuseppe Ciampa ha detto:

    Ragionare con il vincente e il perdente è simbolo di vecchio e di distanza. Quello che oggi ancora tutti fanno, “lui ha vinto, l’altro ha perso”, inevitabilmente crea distacco. Lottiamo per il giorno in cui diremo: “dammi un tuo parere”, “metti la tua conoscenza al servizio della comunità”, sono SERIAMENTE interessato ad ascoltarti e fare insieme un progetto. Menti diverse che si uniscono creano nuova qualità.

    PS. Pienamente d’accordo con l’intero articolo, ho aggiunto la mia 😉

  2. Andrea Morisco ha detto:

    Un’integrazione autenticamente rivoluzionaria , l’obbiettivo deve essere cambiare il senso comune .
    Ce la faremo ne sono sicuro ma ci tocca l’impegno

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